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Home | Le tradizioni popolari di San Martino
Home | Le tradizioni popolari di San Martino

Le tradizioni popolari di San Martino

Le testimonianze del profondo legame tra la figura di San Martino riconoscibili nella nostra Regione del Veneto sono molteplici e coprono svariati ambiti della vita della nostra gente. Sono innumerevoli le testimonianze iconografiche presenti nei nostri paesi e nelle nostre chiese, così come sono notissimi i motti legati al Santo e i piatti tipici che si cucinano a novembre in sua memoria.

Purtroppo però questa eredità sembra affievolirsi nella memoria delle generazioni più giovani, che stanno via via perdendo i legami culturali con la figura del Santo.

In Veneto:
• Oltre 114 tra parrocchie e chiese sono dedicate al Santo;
• San Martino è patrono di numerose città e paesi: Campo San Martino, San Martino di Lupari, Peschiera, Lazise, Piove di Sacco, Povegliano Veronese, Tregnago, Paese, Vigo di Cadore e Belluno.
• Migliaia di opere artistiche dedicati a San Martino sono contenute in centinaia di chiese, capitelli, monasteri;
• Tradizioni popolari e culturali a lui legate sono consolidate in tutte le Provincie: poesie, modi di dire, proverbi, filastrocche e credenze, sagre, festival, manifestazioni, ricette.

Riferimenti:
“Sulle Orme di San Martino”, a cura del Prof.Paolo Ghedina e Prof.Pier Luigi Fantelli e pubblicata dalla Congrega del Tabàro.

 

 

Patrimonio eno-gastronomico

Il 12 novembre è il giorno d’inizio del digiuno prima del Natale, e per questo l’11 novembre nei nostri territori si festeggiava una specie di capodanno contadino, con grandi abbuffate. L’animale tipico che dominava questa festa era l’oca. L’allevamento delle oche era molto diffuso in tutto il Veneto, e questo animale era molto importante perché ricco di grasso e proprio tra novembre e dicembre si mangiavano le prime oche dell’annata. Da qui il proverbio veneto “Chi no magna oca a San Martin, no’l fa el becco de un quatrin”. Inoltre una leggenda narra che Martino non volesse diventare Vescovo e si nascose in una stalla piena di oche, ma il rumore degli animali rivelò il suo nascondiglio.

Come accennato nel capitolo precedente, intorno all’11 novembre si festeggiava anche la fine della vendemmia e s’inizia a bere vino novello, come testimoniato da questi proverbi: “A San Martin casca le foie e se spina el buon vin” e “da San Martin el mosto diventa vin”.

San Martino è anche il patrono degli osti perché un’altra leggenda narra che trasformò l’acqua in vino.

Per quanto riguarda questo ambito, abbiamo riscontrato la presenza di molte Associazioni che nel nostro territorio si occupano di diffondere e far rivivere queste tradizioni, come ad esempio la Compagnia dell’Oca di Mirano, il cui scopo è quello di organizzare i festeggiamenti di S. Martino fin dal 1986, che così descrive questa ricorrenza:

“Quella dell’11 novembre era una festa pagana di origine antichissima, già della tradizione celtica, entrata a far parte delle feste cristiane grazie a S. Martino. Questo periodo dell’anno fin dalla tradizione più antica dedicato a S. Martino è sempre stato collegato alle oche. La leggenda racconta infatti che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo amatissimo di Tours e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri. Secondo alcuni però la tradizione di mangiar l’oca ai primi di novembre non è altro che la conseguenza del fatto che in questo periodo le oche selvatiche migrano verso sud e quindi è più facile cacciarle. Nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l’oca era anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto. Oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali come ricorda la fiera di S. Andrea a Portogruaro nel Veneto, detta “Fiera delle oche e degli stivali”.

Non va dimenticato il detto: “Oca, castagne e vino, tieni tutto per San Martino“. Questo spiega che la ricorrenza di S. Martino era una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava. Per la nostra tradizione contadina, più semplicemente, l’oca era considerata il maiale dei poveri.

Per quanto riguarda queste tradizioni, abbiamo riscontrato numerose variabili dipendenti dai territori e della Provincie in cui ricorrono. Particolarmente conosciuta è la peculiarità dell’area veneziana, in quanto l’immagine di San Martino a cavallo finisce ogni anno in pasticceria. In uno stampo si prepara la pasta frolla; il dolce viene poi abbellito con cioccolatini, perline colorate e altre leccornie.

Patrimonio artistico

La scoperta del patrimonio artistico legato al Santo è molto interessante e sorprendente, in quanto la diffusione capillare delle opere in tutto il territorio dimostra l’importanza della presenza di San Martino in Veneto. Attraverso lo studio delle opere iconografiche, il quale elenco è difficile da stilare tanto è ampio, è possibile percepire le innumerevoli tracce lascate del Santo.

La storia dell'oca di San Martino

La tradizione di cibarsi dell’oca nel giorno dedicato a S. Martino affonda le proprie origini nei secoli. L’oca costituì per secoli, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante l’inverno del povero contadino che si cibava comunemente solo di cereali e di grandi polente. Dagli Egiziani e passando per Omero, l’oca fu sempre tenuta come allegro compagno d’infanzia e come guardiano (le famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio).

Le oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano “iecor” il fegato e “iecor ficatum” quello grasso, da cui deriva l’italiano “fegato”.

I barbari, che saccheggiarono Roma nel 390 a.C. sotto la guida di Brenno, consideravano il palmipede simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche Grande Madre dell’Universo e dei viventi. La zampa dell’oca era usata come “marchio” di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano “Jars”, che in francese vuol dire appunto oche. L’oca fu sempre allevata, anche nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell’oca furono – attorno al 1400 – alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall’Europa del nord, nelle regioni settentrionali della penisola e quindi anche nel Veneto. Non potendo consumare carne di maiale per motivi religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d’oca. L’oca era, infatti, il cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell’Ottocento.

Già di tradizione celtica, l’11 novembre entrò a far parte anche delle feste cristiane proprio grazie a S. Martino e fu da sempre collegato alle oche. La leggenda racconta, infatti, che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri.

Ma nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l’oca fu anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali.

Riferimenti: http://www.michelelittame.it/

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